PORTO E CAPO D’ANZIO. LA CITTÀ Ѐ CHIAMATA A DECIDERE

Del nuovo porto di Anzio e della società Capo d’Anzio, costituita per realizzarlo e gestirlo, se ne parla da decenni senza venirne a capo. Una buona parte della cittadinanza è convinta sia una questione superata e sepolta, eppure, ancora oggi la faccenda è tutt’altro che risolta, tanto che nel prossimo consiglio comunale nel votare il bilancio consolidato (in estrema sintesi il contributo al bilancio del comune che danno le società partecipate dall’Ente) affronteremo ancora una volta la questione della società Capo d’Anzio, del suo disastroso bilancio e del futuro del Porto, il cuore della città.

Vale la pena allora inquadrare la questione, ripercorrere le tappe fondamentali che ci hanno portato alla situazione attuale di pericoloso stallo e capire i possibili scenari, perché la conseguenza di questo fallimento non è ‘solo’ un nulla di fatto, rispetto al quale siamo purtroppo abituati, ma la trasformazione dell’attuale porto in un parcheggio privato di barche (vedi la vicina Nettuno), in cui il valore prodotto dalla città viene incamerato da pochissimi privati e gli abitanti sono dispossessati di uno dei loro beni più preziosi. Tenterò una sintesi, ma la questione è lunga e complessa e alcuni aspetti non possono essere ignorati. Non sono un giornalista ma un politico, quindi la mia prospettiva sarà di parte, che non significa ideologica, strumentale o preconcetta, ma posizionata rispetto ad un’idea di città.

Alla fine degli anni ’90, in un periodo storico di crescita e forti possibilità economiche, l’allora amministrazione di centro sinistra (l’ultima nella storia della città e che durò pochi mesi) decise di portare all’attenzione della Regione Lazio, l’Ente che ha ‘possiede’ il Porto, la proposta di ampliamento che veniva direttamente dagli operatori portuali, i quali chiedevano sostanzialmente di avere più spazio. Il contesto economico era favorevole, il progetto già faraonico. Fu un errore? Con tutta probabilità sì, ma mi sembra un tantino facile attribuire tutta la colpa a chi ha governato pochi mesi, in una fase esplorativa di un’idea progettuale, rispetto all’insistenza dei venti anni successivi.

Nel 1998 infatti si avvia la stagione del centro destra, mai interrotta fino ad oggi, che fa del nuovo porto il suo cavallo di battaglia tanto da inserirlo come punto fondante del nuovo piano regolatore approvato nel 2005 e riproporlo come promessa di sviluppo della città ad ogni campagna elettorale, compresa l’ultima.  Si costituisce una società per azioni inizialmente tutta pubblica, partecipata dal Comune al 61% e da una società del Ministero dello sviluppo economico per il restante 39%, la quale aveva l’obiettivo di reperire i capitali necessari alla realizzazione dell’opera.

Nei 13 anni successivi nulla di fatto. Oggi il centro destra attribuisce la colpa di questo al centro sinistra regionale, accusandolo di aver bloccato il porto di Anzio in favore di quello di Fiumicino. Se ciò sia accaduto non sono in grado di dirlo, so solo che alla Regione c’è stata nel tempo una notevole alternanza di colori politici, con 5 anni di Storace Presidente. Mi interessano poco poi alcune vicende del passato (peraltro ho più volte criticato in prima persona il centro sinistra regionale), le riporto solo perché puntualmente in maggioranza usano queste argomentazioni per screditarci, tanto vale dirle subito.

 

Nel 2011, nel pieno crisi economica, con la giunta Polverini si firma la concessione tra Regione e Comune per un’opera da 190 milioni di euro. I manifesti della Polverini e dell’ex Sindaco Bruschini trionfanti invadono la città, ma il bando in project financing (un privato investe e poi gestisce i posti barca per rientrare dei capitali e fare profitti) va ovviamente deserto. Il mercato boccia l’opera. Nel frattempo, tanto per complicare la situazione, a seguito di una serie di operazioni di ingegneria societaria il 39% di quote della società del Ministero finiscono nelle mani di una società privata di proprietà dell’ingegner Marconi che detiene una grande rete di Marine (parcheggi di barche, non porti) in tutto il mediterraneo.

Il centro destra, invece di prendere atto del fallimento e lavorare al ridimensionamento del progetto bocciato anche dal mercato insiste. Con la complicità della Regione (questa volta di centro sinistra, a dir poco accondiscendente) stralcia 30 milioni di opere pubbliche dal progetto, caccia gli ormeggiatori storici dopo un lungo contenzioso, inizia a gestire il porto esistente (e quindi a incamerare i proventi provenienti dall’affitto dei posti barca) e tenta di realizzare il raddoppio per fasi, finanziando l’opera direttamente: prima la trasformazione del bacino interno per il diporto (20 milioni stimati) e poi il braccio nuovo a sud che dovrebbe ospitare la pesca, la cantieristica e il trasporto passeggeri (per i circa 140 milioni mancanti).

In questa fase il comportamento nei confronti del socio privato-non-voluto è schizofrenico: da un lato si vota all’unanimità un ordine del giorno in consiglio comunale per far intraprendere al comune una causa per riacquistare il 100% della società (la società prima pubblica poi passata ‘magicamente’ ad un privato non ha rispettato i patti tra soci non avendo fornito per tempo i finanziamenti), dall’altro si firma la road map con questa per la realizzazione del porto per fasi.

Ma qual è il problema della società privata in questione? Le forme di partenariato pubblico privato si fanno in tutto il mondo e se ben gestite funzionano anche. Cosa non va in questo caso? Semplice: il privato ha dimostrato nel tempo (sia ad Anzio sia in altri comuni con situazioni analoghe) di non aver interesse a compartecipare alla realizzazione di un’opera mettendo in campo capitali e competenze in cambio dei profitti sulla quota parte di partecipazione nella società. Il privato vuole accumulare credito nei confronti del comune, mettere questo in difficoltà dal punto di vista economico finanziario e poi comprare a ribasso tutta la società con la concessione, ovvero il porto, per farlo diventare l’ennesima marina da annettere alla sua rete. Potrebbero sembrare congetture, ma la proposta fatta dal socio privato al comune un anno fa, quella di acquistare il totale delle quote della società e quindi il porto a meno di 5 milioni di euro, la dice lunga.

Inutile perdersi in mille altri dettagli: nel 2019 il bando per l’affidamento dei lavori per la prima fase (20 milioni) va deserto. La causa avviata contro il privato arriva a sentenza dopo svariati anni (‘casualmente’ a ridosso della pubblicazione della gara) e vede il comune vincitore: il porto può tornare al 100% pubblico, ma la sentenza è costitutiva e non esecutiva. Il comune pur avendo vinto la causa non può rientrare in possesso delle sue quote che il privato nel frattempo ha spostato in un'altra società di sua proprietà.

Ad oggi la situazione è questa:

-non è stato messo un mattone;

-la concessione, come il piano regolatore portuale, resta legata all’opera faraonica assolutamente fuori mercato;

-la concessione prevedeva tempi di realizzazione dell’opera. Tempi assolutamente superati;

-la società capo d’Anzio non ha un presidente in rappresentanza del comune da mesi;

-la stessa società ha registrato nel 2018 un risultato di esercizio di -73.000 euro ed il suo patrimonio netto è sceso a 18.680 euro, al di sotto della soglia minima per lo scioglimento ai sensi del codice civile: andrebbe ricapitalizzata con soldi anche pubblici, ma non registra utili;

-Il comune non è materialmente in possesso del 100% delle quote;

Inutile girarci intorno: stante la situazione a cui si è arrivati le possibilità di azione del comune oggi sono tutte rischiose e difficili, ma siamo chiamati a prendere una decisione per la città e vale la pensa avviare un confronto pubblico su questo.

Ipotesi 1: si fa pace con il privato, si lasciano perdere le cause e si firmano nuovi patti parasociali in cui il comune decide e il privato esegue. Ѐ quanto ipotizzato dal Sindaco in consiglio comunale. Non sono d’accordo. Primo, il privato è scaltro e competente, non si farà limitare così, ha altre mire: con operatori economici parassitari di questo tipo non vorrei averci più niente a che fare. Secondo, che ne sarà del progetto? Sembra non fregare più niente a nessuno, ma allo stato attuale è comunque irrealizzabile, insostenibile e inadeguato. Non riusciamo a fare attivi oggi, riusciremo a farli per coprire 160 milioni di investimenti? Riusciremo ad affittare a regime l’86% di oltre mille posti barca come previsto dal piano economico finanziario redatto? Non credo. Lo scenario più plausibile è che la Regione intervenga in un secondo momento stralciando la fase 2. Il risultato nella migliore delle ipotesi è la trasformazione del porto in una accozzaglia di posti barca senza una logica gestiti dal privato (il progetto nel suo complesso prevedeva il trasferimento delle attività portuali nel molo esterno: non facendo più queste, resterebbe tutto ammassato nel bacino attuale).

Ipotesi 2: Si restituisce la concessione alla Regione Lazio, la società Capo d’Anzio fallisce, i libri si portano in tribunale e i debiti li pagano, verosimilmente, in parte il comune in parte il privato. Al di là dell’aspetto economico comunque preoccupante, il punto è: che ne farebbe la Regione Lazio del porto? Qui si aprono mille possibilità. Nessuno può saperlo con certezza, ma con tutta probabilità riaffiderebbe le aree portuali con gara europea ad altri operatori privati. Il privato (chiunque esso sia, compreso l’ingegner Marconi che potrebbe avere tutte le carte per aggiudicarsi la concessione) esce dalla porta e rientra dalla finestra. Il pubblico perde la possibilità di gestire il porto.

Certo, c’è la possibilità che la Regione gestisca diversamente il porto o che per esempio lo annetta all’autorità portuale di Civitavecchia. Ragionamenti utili, ma finché la Regione non si esprime e non dà seguito all’ordine del giorno votato l’anno scorso in Consiglio Regionale questa prospettiva resta estremamente rischiosa.

 

Ipotesi 3 (il percorso, certamente difficile, che proverei io se fossi al governo): si perseguono le cause contro il privato chiedendo il sequestro delle quote sulla società in cui le ha trasferite, si ricapitalizza la Capo d’Anzio per non farla fallire e si coinvolge la Regione per aprire un tavolo (come già previsto dall’ordine del giorno votato l’anno scorso) e si mettono in campo tutte le possibilità con un bel po’ di coraggio. Ѐ fondamentale ragionare da subito su una rimodulazione del progetto affinché sia sostenibile e adeguato, calibrato sul bacino attuale e quindi, soprattutto, realizzabile e gestibile da un Ente pubblico. Va rifatto un accordo con la Regione sulla base di questo. Se necessario coinvolgere altri partner pubblici o privati per aumentare le competenze bene, ma con l’ingegner Marconi abbiamo già dato. Se c’è la volontà politica e la capacità gestionale (tanto del Comune quanto della Regione) si fa. Altrimenti meglio interrompere tutto subito, portare i libri in tribunale e chiedere alcune garanzie minime sul futuro del Porto, ma con la poca credibilità che abbiamo raggiunto oggi sarà difficile ottenerle.

 

Luca Brignone, Alternativa per Anzio